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LA TOMBA DEL PITTORE DI ROCCANOVA V – IV sec. a. C.

Articolo tratto dal mensile lucano “La Voce della Comunità”


Dopo la distruzione di SIBARI nel 510 a.C. da parte di una coalizione di città greche capeggiata da Crotone, il mondo degli ENOTRI che su quella importante città gravitava, incomincia a decadere, per cui centri come Alianello (Contrada Cazzaiola), Chiaromonte (Contrada Sotto la Croce) insieme ad altri insediamenti che esistevano sulle alture di Armento, Roccanova, San Martino, Castronuovo conoscono una graduale desertificazione. La rottura dell’equilibrio, però, viene di nuovo rinsaldata, nel corso della metà del V sec. A. C., dall’arrivo del LUCANI che si insediano sugli stessi siti un tempo occupati dagli Enotri.
I Lucani, come dice Strabone, erano un popolo versatile e fiero; discendevano dai SANNITI che, a livello rituale, “espellevano dalla comunità il gruppo di giovani appena giunti all’età adulta” (i Greci in Occidente, Electa Napoli, 1996) spingendoli ad emigrare verso la terra della luce (Lucania), a colonizzare il suo territorio o a prestare milizia mercenaria presso lo città greche. Ben presto, però, l’ETHNOS lucano trovò il suo elemento di organizzazione e di unità intorno a dei capi aristocratici guerrieri, che le immagini dipinte sulle lastre tombali di PAESTUM e i bronzi derivanti da altre sepolture mostrano essere CAVALIERI.
In caso di guerra, invece, il comando supremo veniva affidato a un BASILEUS eletto per l’occasione.
La storia dei LUCANI, dopo la secessione dei BRUZZI, si svolge dalla metà del V sec. a.C. alla fine delle guerre puniche (III sec. a.C.) e alla successiva conquista “optime iure” della cittadinanza romana (I sec. a.C.). E’ però nel corso del IV sec. a.C. che la civiltà dei Lucani conosce il suo massimo splendore e la Valle dell’Agri la più alta densità di popolazione, soprattutto per quanto riguarda i centri di Armento, da cui deriva la famosa “Corona di CRITONIO”, di San Brancato, che regolava i traffici e il commercio lungo la Valle dell’Agri, e di Roccanova per l’OFFICINA del PITTORE omonimo.
L’attività di questo importante ceramista vascolare si manifesta tra l’ultimo quarto del sec. V a.C. e la metà del secolo successivo. A Roccanova, infatti, nelle proprietà di Andrea Di Ciancia, in una tomba a camera sotterranea (IPOGEO), furono rinvenuti oggetti di ornamento come: collane, fibule, spilloni, un anello, vasellame metallico, vasi a figure rosse e a vernice nera ed inoltre oggetti d’ambra, d’avorio, di piombo, di osso per un totale di 105 reperti. Il materiale rinvenuto dal Di Ciancia nel febbraio del 1910 venne venduto al Museo Archeologico Nazionale di Taranto; dai documenti però esistiti presso l’archivio del museo gli oggetti catalogati risultano in tutto 122. L’esame completo del materiale è stato anche oggetto di una tesi di laurea universitaria discussa a Salerno da M. DI SERIO.
Considerato che i reperti archeologici del “pittore di Roccanova”, attualmente esposti al MUSEO della SIRITIDE di Poliporo nella MOSTRA “Greci, Entri e Lucani nella Basilicata meridionale”, sono stati prodotti in un arco di tempo abbastanza ampio, e considerato che nell’atto dell’acquisto non è stata compiuta una verifica sul terreno circa il loro rinvenimento nella stessa tomba, c’è da ipotizzare che essi derivino da più sepolture. Certamente, però, tutti i reperti sono appartenuti ad individui di RANGO ELEVATO, considerato che le collane ed i pendenti d’oro e il vasellame metallico sono “oggetti di prestigio” di pertinenza di capi guerrieri e di figure femminili appartenenti al ceto dominante lucano. In particolare gli oggetti di oreficeria comprendono: due collane d’oro con pendenti a testa d’ariete, due fibule d’oro con decorazione a filigrana e un anello d’oro con scarabeo mobile.
E’ difficile identificare il luogo certo di produzione e di provenienza di questi gioielli. Attraverso il raffronto con altri simili si pensa all’aerea di Taranto per le collane e a quella di Posidonia per le fibule. Invece la base a tre piedi a zampe di leone di un candelabro in bronzo e i piedi e le anse di vasi dello stesso metallo sono di riferirsi a vasellame di fabbricazione etrusca (Pontecagnano).
Al di là delle concetture, i reperti rinvenuti a Roccanova mostrano con certezza l’inserimento dell’aera e dell’intera vallata dell’Agri in un sistema di relazioni commerciali con altri popoli dell’area ionica e tirrenica.
I 122 reperti archeologici rinvenuti nel cosiddetto “IPOGEO del Pittore di Roccanova”, nel 1910 rivelano con certezza l’inserimento dell’area di ritrovamento e dell’intera vallata dell’Agri in un sistema di relazioni commerciali e culturali con i popoli dell’area tirrenica di Paestum, con gli Etruschi della bassa Campania e con i Greci della costa ionica.
Nel sito di ritrovamento oltre agli oggetti d’oro e di bronzo certamente provenienti da Taranto e Pontecagnano, interessanti sono anche i 4 pendagli intagliati in AMBRA e lavorati certamente in loco e rappresentanti tre teste femminili e un grappolo d’uva, interessanti anche perché l’ambra proveniva dai PAESI NORDICI. Ma più importanti sono 11 elementi cilindrici in AVORIO di circa 10-15 cm. l’uno, intagliati, forati e decorati longitudinalmente ed appartenenti a degli antichi flauti (aulos).
Questi elementi di strumento a fiato indicano che fin dalle epoche più remote i roccanovesi possedevano l’estro musicale e si dilettavano a suonare flauti.
Nell’ipogeo e nelle varie tombe sono stati inoltre trovati una dozzina di vasi a figure rosse: in particolare due anfore, un’hjdria, coppe, oinochoe, lebeti nuziali. Attraverso parallelismi e confronti stilistici, risulta che tutto il materiale è stato prodotto nella stessa officina e dalla mano dello stesso ceramista per cui l’artista vascolare viene appunto chiamato Pittore di Roccanova o di Varrese.
Vasi della sstessa caratteristica sono stati ritrovati a San Brancato, Senise e nella lontana Roccagloriosa, e ciò sta ad indicare che la produzione artigianale di Roccanova era apprezzata anche fuori dell’ambito locale.
L’artigianato roccanovese, pur non raggiungendo la qualità artistica delle officine paestane, era caratterizzato da figure ben proporzionate, da disegni fluidi e dalla cura dei particolari delle vesti dei corpi e delle scene.

Autore: Prof. Giuseppe Cudemo

 

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